Un altro No chiaro e forte

Era cominciato tutto pubblicizzando l’abolizione del Senato ed è finita alla stessa maniera: con una menzogna.

Nel suo autoencomio di addio (temporaneo, ovviamente, quando diceva “se perdo il referendum sulle riforme costituzionali smetto di far politica” stava sempre scherzando) Matteo Renzi celebra la “festa della democrazia” perché “il parlamento, su iniziativa del governo, ha dato la possibilità ai cittadini di decidere”.

Invece il referendum non è stata una gentile concessione del magnanimo Re a noi sudditi ingrati: si è reso obbligatorio in virtù di un diritto garantito dall’articolo 138 perché la riforma nella seconda votazione non ha ottenuto la maggioranza qualificata dei due terzi. Per inciso, in nessuna delle sei votazioni né alla Camera né al Senato la riforma è stata approvata a maggioranza dei due terzi.

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La Costituzione è NOstra

Queste sono solo alcune di quelle tante persone che in questi mesi hanno profuso il loro impegno civile in difesa della Costituzione nella maturata convinzione che il cambiamento proposto dalla riforma è in assoluto peggiorativo.

Pietro Spataro, giornalista ed ex vicedirettore de l’Unità:

“Ho visto che il presidente del Consiglio e segretario del Pd ha alzato il tiro e ha deciso che il 4 dicembre non fosse più il giorno di un referendum ma il giorno del giudizio: su di lui, sul governo, sul futuro, sul passato, diciamo uno spartiacque tra il Bene e il Male, e il Bene ovviamente era identificato con la sua persona. A un certo punto ti confesso che, preso da quel fottuto senso di responsabilità che noi ex comunisti abbiamo nel sangue, ho anche tentennato. Nonostante ritenessi profondamente sbagliata quella riforma costituzionale, ho pensato che sì, è fatta male, è confusa, ha molti difetti, può anche creare qualche grave cortocircuito, però la destra, Grillo, i populisti, Orban, la Brexit ecc… Ci ho riflettuto a lungo. Mi sono tormentato. Ma alla fine ho deciso che era un modo del tutto sbagliato e anche un po’ ricattatorio di estorcere il mio sì su una materia cosi delicata come quella costituzionale. Ho pensato tra me e me che i costituenti, quelli che hanno scritto la nostra Carta, non sarebbero stati contenti se io avessi deciso sull’onda di un’emozione extracostituzionale piuttosto che nel merito costituzionale.”

Don Luigi Ciotti, presidente dell’Associazione Libera contro le mafie

“La democrazia, con il suo sistema di pesi e contrappesi, di divisione e di controllo dei poteri, rappresenta un ostacolo per il pragmatismo esibito da certa politica come segno di forza. Le richieste di delega, la sollecitazione a fidarsi delle promesse e degli annunci, l’ottimismo programmatico, così come l’accusa di disfattismo o di malaugurio (il ‘partito dei gufi’) verso chi critica o solo esprime perplessità, rivelano una concezione paternalistica e decisionista del potere, dove lo Stato rischia di ridursi a una multinazionale gestita da super manager e il bene comune a una faccenda in cui il popolo non deve immischiarsi.”

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Senza paura

Indipendentemente dal nostro personale giudizio sull’elezione di Trump e sulla Brexit credo sia evidente che l’unico effetto prodotto da entrambe le consultazioni popolari sia l’irrisione generale di chi, come il Financial Times e soci, paventava l’apocalisse in caso di esiti a loro scomodi.

Il giorno dopo l’elezione di Trump le borse hanno ballato, ma il temuto tumulto è durato appena 24 ore, poi i mercati si sono riassestati recuperando le perdite. “Stavamo scherzando”, insomma. I reali effetti potranno essere valutati se e quando verranno attuate le politiche di Trump, e tutto dipenderà dalla volontà del Congresso.

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Mamma, li turchi!

Ora i sostenitori del Sì vogliono convincerci a sostenere la riforma al grido di “mamma, li turchi!”. Ma “li turchi” avranno carta bianca proprio grazie alla riforma.

Approvare la riforma temendo l’arrivo di Salvini (o chi per esso) è una contraddizione. È infatti l’attuale Costituzione, con i suoi contrappesi e le sue garanzie, a tutelarci da derive autoritarie.

Un esempio: l’articolo 64 modificato dalla riforma si limita a costituzionalizzare lo statuto delle opposizioni e demanda i poteri delle minoranze ad un regolamento da scrivere in futuro e che sarà approvato a maggioranza assoluta, quella maggioranza assoluta eletta con l’Italicum. Una maggioranza assoluta composta da un unico partito perché il premio andrà alla lista, non più alla coalizione tra diverse forze politiche. Cioè sarà la falsa maggioranza monocolore (pari anche al 25%, non essendoci un quorum al ballottaggio) a dire cosa possono o non possono fare le opposizioni. Continua a leggere “Mamma, li turchi!”

Quindici ragioni per cui votare No (e sono anche poche)

“Basta un Sì” è lo slogan principale del comitato pro riforma che, forse qualcuno non lo sa, è il comitato del governo, gestito dallo staff del premier Renzi, di chi la riforma l’ha scritta e ora la propaganda a pieni polmoni, insomma.

“Basta un Sì” per fare cosa, esattamente? Per “cambiare”, ripetono, altrimenti “resta tutto come ora”. Ma il cambiamento in astratto non esiste: può anche non essere buono e per questo, il cambiamento, bisogna contestualizzarlo valutandolo nel merito, non accettarlo a prescindere. Ergo, “cambiamento” non è sinonimo di “miglioramento”.
Nessuno di noi firmerebbe neanche un contratto telefonico sulla fiducia di chi ce lo sta vendendo.

Chi vuole mantenere, come recita il facile e fuorviante slogan, “tutto come ora” è perché ritiene, fatto il bilancio dopo aver letto la riforma, che il cambiamento prodotto sarà peggiorativo della situazione attuale. Perché, dunque, cambiare in peggio?

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Banchieri costituenti

“Possiamo impedire di leggere: ma nel decreto che proibisce la lettura si leggerà pur qualcosa della verità che non vorremmo venisse mai letta”.

Oggi il “decreto” richiamato da Calvino corrisponde alle accuse, mosse non senza una vena isterica rivelatrice, di complottismo e paranoia verso chiunque osi anche solo sussurrare dell’ormai noto documento della banca J.P. Morgan datato 23 maggio 2013.

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I tombaroli

Il giochino, molto facile, ancor più meschino, è prendere a pretesto frasi dette in altra epoca, estrapolarle da contesti ampi, copiarle su una locandina, incollarci la faccia dell’autore e infine strumentalizzarlo per fini propagandistici.

E così Berlinguer, Ingrao, Iotti e addirittura il giudice Falcone, tutti accomunati dal fatto di non poter ribattere a chi gli infila giocoforza nella bocca ogni virgola di questa riforma, diventano fervidi sostenitori del Sì. Cioè: siccome in passato hanno proposto il superamento del bicameralismo paritario, qualsiasi riforma che sulla carta si pone questo obiettivo automaticamente diventa la riforma che loro volevano. Non lo dicono i grandi del passato, ma i piccoli tombaroli di oggi.

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Il Senato delle giravolte

Poiché mantenere il Senato elettivo – sentenziò il ministro Boschi – non era possibile in quanto avrebbe comportato la titolarità del rapporto di fiducia con il governo, ora ci dicono che sarà eletto da noi. Di sprezzanti avvitamenti come pure di pericolose inversione ad U ne abbiamo visti molti dall’ascesa dei rottamatori (delle loro stesse parole), a stupire in questo caso è la doppia bubbola.

Alessandro Pace, costituzionalista e professore emerito di diritto costituzionale:

“Mentre il riconoscimento del suffragio popolare diretto rientra nella garanzia della sovranità popolare, il conferimento alla sola Camera dei deputati della titolarità del rapporto fiduciario costituisce una scelta politica del tutto libera, che non contrasta con alcuna norma o principio costituzionale, ma anzi si giustifica in considerazione della rappresentatività generale riconosciuta soltanto alla Camera dalla riforma Renzi-Boschi. Quanto alla seconda obiezione, non si vede come l’elettività del Senato sarebbe in grado di trasformarlo in una seconda Camera di confronto fra i partiti (oltretutto, se debolissima, come ammette lo stesso Onida). Del resto, le attribuzioni del Senato, elettivo o non elettivo, rimarrebbero comunque le stesse. L’elettività avrebbe invece il grande merito di sottrarre l’elezione del Senato alle «beghe esistenti nei micro-sistemi politici regionali» (Silvestri)”.

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È un aereo? È un uccello?

No, non è Superman. È il velocissimo sistema di approvazione delle leggi che dicono la riforma ci riserverà tra le tante altre magnifiche sorti e progressive. Da ieri sappiamo che ci garantirà anche la felicità perché – avverte Benigni – se vince il No “il morale va a terra”.

Unitamente ai proclami si dovrebbe però dimostrare, squisitamente per completezza e chiarezza verso chi ascolta e andrà a votare, che l’attuale sistema è lento e produce meno leggi degli altri. Considerato che dai pro riforma non si batte ciglio nel merito, quanto è lento il bicameralismo italiano? Quali sono i tempi medi di approvazione delle leggi? Soprattutto, qual è il divario con gli altri Paesi europei dove vige un bicameralismo differenziato?

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