La riforma schizofrenica

Chiarisco subito prima che qualcuno possa legittimamente sommergermi di ortaggi.

Articolo 57, comma 2: “I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori”.

Articolo 57, comma 5: “La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma”.

Non dico quelli che hanno approvato la riforma, che essendo matricole parlamentari ed avendo bisogno di finire la legislatura per avere il vitalizio hanno votato ad occhi chiusi tutto quello che gli scorreva sotto il naso, ma chi l’ha scritta non è giustificabile e ha chiaramente problemi con la lingua italiana perché questi due commi sono incompatibili: l’uno smentisce l’altro.

Se i senatori, come recita il comma 2, si “eleggono con metodo proporzionale”, non possono essere “eletti in conformità alle scelte espresse dagli elettori” come successivamente stabilisce il comma 5. Questo perché se il comma 5 dicesse il vero, i consigli regionali dovrebbero solo ratificare la scelta espressa dagli elettori, quindi non eleggere i consiglieri-senatori con sistema proporzionale di cui al comma 2, che in ogni caso neanche si potrebbe definire un vero proporzionale considerato che la maggior parte delle Regioni adotta un sistema maggioritario per eleggere i consigli. A dire il vero è il comma 2: mai i consigli regionali potranno inviare in Senato una rappresentanza “conforme” al voto degli elettori.

Cosa vuol dire “conforme”? Che andranno a Roma i consiglieri più votati in occasione del rinnovo dei governi regionali? Se così fosse, appunto, i consigli regionali non dovranno eleggerli. Ma come può essere “conforme alla scelta espressa dagli elettori” considerato che i consiglieri regionali sono eletti per fare i consiglieri, non i senatori, e che avranno compiti completamente diversi da svolgere a Roma rispetto a quelli nelle Regioni?

Nel migliore dei casi gli elettori potrebbero esprimere una preferenza (il che comporterebbe una modifica di tutte leggi elettorali regionali) ma i consiglieri da mandare a Roma sarebbero comunque scelti dai consigli regionali che li “eleggono” i quali potrebbero pure infischiarsene della preferenza considerato che il comma 2 gli riconosce il potere di nominare i senatori.

Il comma 5, in contrapposizione con il comma 2, rinvia poi il metodo di elezione dei senatori al comma 6 che a sua volta rimanda ad una legge che ancora non esiste. Evidentemente, non sapendo come sciogliere la matassa che loro stessi hanno ingarbugliato hanno rispolverato il sempreverde “non fare oggi quello che puoi rimandare a domani”.

Per quanto riguarda i 21 sindaci saranno nominati e basta, non c’è sofisma che possa nascondere lo scippo della nostra scheda elettorale. Même chose i 5 senatori scelti dal presidente della Repubblica che oltretutto non si capisce cosa ci facciano in un “Senato rappresentanza delle autonomie locali”.

Alessandro Pace, costituzionalista e professore emerito di diritto costituzionale:

“Il ‘futuro’ art. 57 Cost. presenta un’insanabile contraddittorietà interna, addirittura risibile in un testo solenne come la Costiuzione. Prevede infatti due commi tra loro antitetici. Per uscire da questa contraddizione, si suggerì da più parti, e anche autorevolmente (Enzo Cheli, vicepresidente emerito della Corte costituzionale), di seguire il parere della Giunta del Regolamento della Camera dei deputati, Pres. Napolitano, del 5 maggio 1993, reso nel corso della modifica dell’art. 68 Cost., nel quale era stato correttamente osservato, «in considerazione dell’atipicità del procedimento di revisione costituzionale», che fosse ammissibile l’emendamento soppressivo di un comma già favorevolmente votato dai due rami del Parlamento (caso analogo all’attuale)”.

Se passa la riforma ci ritroveremo nel mezzo di questo assurdo scontro tra commi, e quale sia la via di fuga – che nel caso ricorda il tasto di iPhone indispensabile per uscire dalle situazioni di panico quando l’applicazione s’impalla – non lo sanno neppure i sostenitori del Sì (compreso chi li ha scritti), sul quale non hanno il coraggio di pronunciare nessuno dei loro idioletti; lo stesso silenzio tombale che piomba quando si osa anche solo sussurrare chiarimenti sull’articolo 70. Sarebbe bastato semplicemente lasciare il Senato elettivo (come prevedeva addirittura la riforma Berlusconi del 2006) oppure prendere spunto dall’ordinamento degli altri Paesi al quale, contro ogni sprezzo del ridicolo, dicono di essersi ispirati.

Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale:

“I punti più critici a mio parere sono due. Il primo è la disciplina del bicameralismo. Partita da un’idea che considero in sè buona, e cioè quella di dar vita a una seconda Camera rappresentativa delle Regioni, sul modello tedesco, la riforma la attua male. Il modo in cui il nuovo Senato sarebbe composto non è conforme a questa intenzione. I rappresentanti delle Regioni, eletti indirettamente, andrebbero infatti a Palazzo Madama a titolo individuale, senza vincolo di mandato, e quindi esprimendo posizioni politiche di partito e non la voce delle istituzioni territoriali che dovrebbero rappresentare. Inoltre, il nuovo Senato non avrebbe competenze significative proprio sulla legislazione che più interessa da vicino le Regioni. Aggiungo anche lo squilibrio numerico tra le due Assemblee, 630 deputati contro 100 senatori, che determina la preponderanza della Camera in momenti importanti come l’elezione del presidente della Repubblica (che oggi spetta al Parlamento in seduta comune  integrato da delegati regionali). Ancora, il fatto che i cinque senatori nominati dal Quirinale restino in carica per soli sette anni, cosa che non ha molto senso trattandosi di nomine per altissimi meriti. Ecco, il modo in cui il nuovo Senato e le sue funzioni sono costruiti è secondo me molto criticabile”.

L’altro punto è la fortissima centralizzazione di poteri e il depotenziamento totale, se non lo svuotamento, dell’autonomia legislativa delle Regioni. Con in più lo squilibrio determinato dal fatto che la riforma non si applica alle Regioni a statuto speciale, fino a una futura revisione degli statuti da operare con nuove leggi costituzionali d’intesa con le Regioni interessate”.

In Germania il Bundesrat è composto da senatori eletti dai Lander; i delegati dei Lander hanno vincolo di mandato, votano seguendo le direttive dei rispettivi governi e sono obbligati a votare compatti pena la nullità del voto. Se il Land della Bassa Sassonia si esprime a favore della legge “A”, tutti i suoi rappresentanti nel Bundesrat devono votare in quel modo. In caso di disaccordo hanno l’obbligo di astenersi. Sono soggetti che non agiscono in proprio conto ma come mezzi di espressione di una volontà non propria, ovvero quella dei Lander, trasferitagli attraverso il mandato imperativo. Ogni Lander può controllare i propri senatori e sostituirli in qualsiasi momento nel Bundesrat. In ultimo, i senatori tedeschi non godono dell’immunità parlamentare. Con la riforma Boschi, nulla di tutto questo. I fortunati paracadutati a Roma, come fa notare Valerio Onida, ci andranno a “titolo individuale, senza vincolo di mandato, e quindi esprimendo posizioni politiche di partito e non la voce delle istituzioni territoriali che dovrebbero rappresentare”.

Un altro spericolato paragone che fanno i sostenitori del Sì è con il senato francese. In Francia il Senato rappresenta le autonomie locali ed è eletto da un collegio di 162 mila grandi elettori composto da deputati, consiglieri regionali e sindaci. In Italia saranno “eletti” ognuno nel proprio consiglio regionale di appartenenza composto da un numero irrisorio di consiglieri (da un minimo di 35 ad un massimo di 90), ecco perché, anche in questo caso, le due realtà non sono assolutamente comparabili.

La riforma Boschi, contraddittoriamente alla non elettività del Senato unita all’assenza del vincolo di mandato, riconosce ai consiglieri-senatori il privilegio di revisionare la Costituzione ed eleggere ben due giudici della Corte costituzionale (tre spetteranno alla Camera composta da 630 deputati, una sproporzione irragionevole) senza rappresentare nessuno se non il partito che li ha mandati a Roma con l’immunità parlamentare impacchettata.

Il Senato manterrà gli attuali poteri (anche quello di iniziativa legislativa) ma non sarà più elettivo, uno squilibrio evidente.

Il riformismo frettoloso e compulsivo senza riflessione né confronto e misto ad una massiccia e pericolosa dose di improvvisazione genera questi mostri giuridici. Come noterà Meuccio Ruini, tra i membri dell’Assemblea costituente “la maggior parte dei cattedratici erano giuristi” e tra loro vi era “il fiore dei costituzionalisti italiani”. Cosa che non si può dire oggi con gli avvocaticchi e i commercialisti (senza dimenticare pure gli inquisiti e i pregiudicati) che in virtù di un premio di maggioranza incostituzionale, senza il quale non avrebbero avuto i numeri per approvare la riforma, si sono assunti l’onere di riscrivere 47 articoli della Costituzione aggirando il Parlamento con canguri e blitz notturni e ignorando con arroganza e presunzione il parere di autorevoli costituzionalisti e presidenti emeriti della Corte costituzionale.